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◄ POESIE TONY KOSPAN: LA PREGHIERA DEL CLOWN
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Reply  Message 1 of 5 on the subject 
From: Tony Kospan  (Original message) Sent: 01/02/2011 16:23
 
 
 
TOTO’ POETA
- LA PREGHIERA DEL CLOWN -
a cura di Tony Kospan
 
 
 
I grandi artisti quando sono davvero grandi…
non eccellono sono in una particolare arte ma
il loro genio spazia spesso in diversi campi…
 
 
 
 
 
 
Uno di questi è per me Totò… (Antonio de Curtis)
che accanto alla sua attività teatrale e cinematografica
di grande attore comico e non solo…
ha lasciato un segno indelebile
anche nel campo della musica e della poesia…
 
 
 
Totò e Pasolini
 
 
 
Ecco allora una sua poesia…
che ci parla di sé in modo sorprendente…
e che rivela il contrasto della sua maschera…
sorridente con la sua realtà intima
spesso triste…
e che penso possa farci riflettere un attimo…
 
 
Ma ora leggiamola…
ascoltando, se ci va, una musica da clown
e poi guardando il video in cui lo stesso
Totò recita questa poesia…
 
 
 
 
Notamusica circo

 
 

LA PREGHIERA DEL CLOWN
Antonio de Curtis
 
 
Più ho voglia di piangere
e più gli uomini si divertono,
ma non importa, io li perdono,
un po’ perché essi non sanno,
un po’ per amor Tuo
e un po’ perché hanno pagato il biglietto.
 
Se le mie buffonate servono
ad alleviare le loro pene,
rendi pure questa mia faccia
ancora più ridicola,
ma aiutami a portarla in giro
con disinvoltura.
 
C’è tanta gente
che si diverte
a far piangere l’umanità,
noi dobbiamo soffrire
per divertirla.
 
Manda, se puoi,
qualcuno su questo mondo,
capace di far ridere me
come io faccio ridere gli altri.

 

 

Video di Totò che  recita questa poesia 

 

 

 

Ciao da Tony Kospan

 


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Reply  Message 2 of 5 on the subject 
From: Serenella Sent: 01/02/2011 19:48
Un grande artista, il nostro Totò,
 che rimane nei nostri cuori per la sua  simpatia
e la grande personalità di uomo e di attore...
Grazie Tony
per avercelo ricordato in questo tuo
bel post

Reply  Message 3 of 5 on the subject 
From: Lelina Sent: 01/02/2011 20:02
Stupendo ricordare la figura di questo grande artista 
Filmografia Attore: Totò (Il più grande comico italiano)

Figlio illegittimo del principe Giuseppe De Curtis e della giovane Anna Clemente, che solo nel 1921 riusciranno a sposarsi, Totò nasce a Napoli, nel famoso Rione Sanità, nel 1898. Registrato all'anagrafe con il cognome materno, Totò verrà riconosciuto come figlio dal principe soltanto nel 1941. Nel 1933 si farà adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi, che gli trasmetterà i suoi titoli gentilizi. Solo nel 1946, un anno dopo la morte del Principe De Curtis, il Tribunale di Napoli autorizza Totò a fregiarsi del nome e del titolo di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, Altezza Imperiale, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero,... All'educazione del piccolo provvede la madre, che gli darà il nomignolo di Totò. Dopo aver frequentato le scuole elementari, si iscrive al collegio Cimino, dove un suo precettore, tirando di boxe, gli causa quella deviazione del setto nasale che col tempo sarebbe diventata un tratto caratteristico della sua maschera. Dopo il collegio, a 14 anni, abbandona gli studi e prende a recitare in piccoli e scalcinati teatri di periferia imitando il macchiettista Gustavo De Marco. Con lo scoppio della grande guerra, nel 1915, si arruola volontario, ma riesce ad evitare la prima linea fingendo un attacco epilettico. Ed è proprio sotto le armi che conia il celebre motto: « Siamo uomini o caporali?? », originato dall'incontro con un graduato che lo costringeva ai compiti più umili, che in seguito sarà la sua filosofia di vita. Nel 1918, alla fine del confitto, torna a Napoli e comincia a recitare in piccoli teatri con un repertorio di imitazioni. Nel 1922, dopo un clamoroso "fiasco" al Teatro Della Valle di Aversa, decide di lasciare Napoli per Roma. Qui ottiene una scrittura al Teatro Ambra Jovinelli prima, al Teatro Umberto poi, entrambe coronate da un enorme successo. La sua figura di marionetta disarticolata, in bombetta, tight fuori misura, scarpe basse e calze colorate, si consolida ben presto e Totò conserva questo personaggio per tutta la vita. Con la notorietà arrivano anche le relazioni sentimentali. Dopo una sua burrascosa relazione con la cantante del cafè-chantant Liliana Castagnola, iniziata nel 1929 (la donna si sarebbe poi tolta la vita un anno dopo a causa di un litigio), Totò sposa nel 1932 la diciassettenne Daria Rogliani, che nel 1933 dà alla luce una figlia chiamata Liliana, come il suo primo amore scomparso. A causa della tremenda gelosia del comico, il matrimonio viene annullato nel 1940 ma la coppia resterà insieme fino al 1950, separata definitivamente dalle voci di un presunto flirt fra l'attore e Silvana Pampanini, conosciuta sul set del film47 morto che parla (1950). In preda alla gelosia, l'ex moglie finirà per lasciare il comico e sposare un altro uomo. Ciò ispira a Totò il testo della stupenda canzone Malafemmena. Intanto in Italia, all'inizio degli anni '30, ha un grande successo l'avanspettacolo. Fiutato l'affare Totò diviene impresario e finanziatore della sua compagnia che, fra il 1933 e il 1940, rappresenta in tutta Italia diversi spettacoli. Nel 1940, a Roma, viene messa in scena la rivista Quando meno te l'aspetti, con Anna Magnani e Mario Castellani, che segna l'inizio della collaborazione tra Totò e Michele Galdieri. La Magnani torna a lavorare con Totò in Che ti sei messo in testa??, del 1943. Nel dopoguerra è ancora in teatro come interprete di riviste esilaranti come C'era una volta il mondo (1947) e Bada che ti mangio! (1949), nel quale propone per la prima volta il famoso sketch del "vagone letto". Sul grande schermo aveva esordito nel 1937 col film Fermo con le mani, diretto da Gero Zambuto, dove faceva chiaramente il verso al personaggio del vagabondo di Chaplin. La pellicola nella quale afferma il suo vero personaggio sarà San Giovanni Decollato (1940), tratta dall'omonima commedia di Martoglio. In seguito partecipa ad altri film, ma solo con I due orfanelli (1947) e Fifa e arena (1948) otterrà il vero e meritato successo cinematografico. Seguono altri stupendi film, come Totò le Mokò (1949), Totò cerca casa (1949), Totò sceicco (1950) e Napoli milionaria (1950). I lazzi, gli sberleffi, la mirabile capacità gestuale, si completano al cinema con l'uso di un linguaggio che si rinnova in continuazione attingendo con intelligente tempismo ad inflessioni dialettali, a paradossali giochi di parole e ad espressioni tratte dalla vita quotidiana. Nel 1951, per l'interpretazione del film Guardie e ladri, di Steno e Monicelli, riceve il Nastro d'argento e la Maschera d'argento. In seguito è il magnifico interprete di esilaranti pellicole, come Totò a colori (1952), primo film italiano a colori nel quale propone lo sketch del "vagone letto", Miseria e nobiltà (1954), L'oro di Napoli (1954), Siamo uomini o caporali? (1955) e Totò, Peppino e la… malafemmina (1956), nel quale c'è l'indimenticabile scena della dettatura della lettera fra Totò a Peppino De Filippo. Intanto nel 1952, grazie ad un giornale, conosce Franca Faldini, con la quale vivrà fino alla morte. Nel '56, dopo una lunga parentesi cinematografica, Totò torna in teatro con la rivista A prescindere. Purtroppo mentre recita a Palermo viene colpito da un male agli occhi e, nonostante non riesca più a vedere, recita fino all'ultimo. Si tratta di "corioretinite emorragica essudivante a carattere virale", ed è probabilmente causata da una precedente polmonite mal curata. Pian piano le condizioni migliorano ma il grande comico ha timore che "il telefoni non squilli più". Invece il regista Camillo Mastrocinque lo vuole come protagonista di Totò, Vittorio e la dottoressa (1957), divertente commedia accanto a Vittorio De Sica. A questo film seguiranno altri successi, come I soliti ignoti (1958), Totò a Parigi (1958), Signori si nasce (1960), Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi (1960) e I due marescialli (1961). Una grande occasione gli viene offerta da Alberto Lattuada, che lo dirige ne La mandragola (1965), tratto dall'opera di Machiavelli, nella quale veste i panni del corrotto fra Cristoforo. L'anno seguente avviene l'importante incontro col regista Pier Paolo Pasolini. Il primo frutto del loro incontro sarà il film Uccellacci e uccellini (1966). Nella rappresentazione del film Totò ha un senso profondo di disillusione, tristezza e malinconia, legato alla descrizione della realtà del suo tempo. Il comico nel film si fa scoprire dal pubblico come attore di gran sensibilità e intelligenza, in un ruolo che incarna una gran capacità di sarcasmo e riserva anche momenti di profonda commozione. Per questa interpretazione si aggiudica il Globo d'oro. Con Pasolini Totò girerà ancora gli episodi "La terra vista dalla luna", dal film Le streghe (1967), e "Che cosa sono le nuvole?", dal film Capriccio all'italiana (1968). Da ammirare è anche la sua attività di poeta: dalla sua penna scaturiscono straordinarie poesie che spesso rispecchiano la sua vena napoletana malinconica. La più famosa è certamente'A livella. Poco prima di morire il regista Daniele D'Anza lo vuole come protagonista della serie televisiva "Tutto Totò", che comprende nove divertentissimi telefilm, nei quali ripropone il meglio del suo repertorio teatrale. Il 15 aprile 1967, intorno alle tre e mezzo del mattino, dopo un susseguirsi di vari attacchi cardiaci, Totò si spegne. Quel giorno se n'era andato il più grande comico italiano di tutti i tempi.

Reply  Message 4 of 5 on the subject 
From: Lelina Sent: 01/02/2011 20:08

Vorrei umilmente chiedere scusa al grande Principe De Curtis per aver osato di tradurre questo suo magnifico testo....spero che perdoni la mia preseunzione, ho solo cercato di chiarire alcuni termini alle persone non napoletane...

TESTO ORIGINALE

TESTO TRADOTTO

A'livella

La livella

Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo,e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto,statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo,stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno,sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo,o è fantasia?

Ate che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo..calmo calmo,
dicette a don Gennaro:"Giovanotto!

Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"

"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé..-piglia sta violenza...
'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"

Ogni anno il 2 Novembre, c'è l'usanza
di andare al cimitero come ripetto ai defunti.
Ognuno deve avere quest'educazione;
ognuno deve avere questo pensiero.
Ogni anno, puntualmente, in questo giorno,
per onorare questa triste e funesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo di Zia Vincenza.

Quest'anno, però, mi è capitata un'avventura...
dopo aver compiuto il triste omaggio floreale.
Madonna! se ci penso ho ancora paura! ,
ma poi presi il coraggio a due mani.

La vicenda è questa, ascoltatemi:
Si avvicinava l'ora della chiusura del cimitero:
io, lentamente, stavo per uscire
dando uno sguardo a qualche loculo.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

Lo stemma con la corona di fiori in cima...
...più giù una croce formata da lampadine;
tre fasci di rose con una lista di lutto
candele, candelotti e sei lumini.

Proprio affianco alla tomba di questo Signore
c'era un'altra tomba molto piccola,
abbondanata, senza nemmeno un fiore;
come segno, solo una piccola croce.

E sulla croce a stento si leggeva:
"Esposito Gennaro, netturbino":
provai molta compassione giuardando
questa tomba senza nemmeno un lumino!

Questa è la vita! pensavo tra me e me...
chi ha avuto tanto e chi non ha avuto niente!
Questo povero signore si sarebbe mai aspettato
che anche da morto restava pezzente?

Mentre pensavo a tutto questo
si fece mezzanotte
ed io rimasi prigioniero
impaurito...davanti ai candelotti.

All'improvviso, cosa vedo in lontananza?
Due ombre avvicinarsi a me...
Pensai che la cosa era molto strano
sono sveglio, dormo o sogno ad occhi aperti?

Altro che fantasia;era il Marchese:
col cilindro,la caramella ed il bastone signorile;
accanto a lui un pezzente
sporco con la scopa in mano.

Certamente l'altro è Don Gennaro...
il poverello...il netturbino.
Io però in questa cosa non ci vedo chiaro:
sono morti e si ritirano a quest'ora?

Potevano star lontani da me un palmo
quando, all'improvviso, il Marchese si fermò e girò
e lentamente e fieramente
disse a Don Gennaro:"Giovanotto!

Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"

"Signor Marchese, non è colpa mia,
io non vi avrei mai fatto questo torto;
mia moglie ha fatto questa cavolata,
ed io non potevo oppormi perchè ero già morto".

"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

Dimostramelo dai...picchiami...
la verità Signor Marchese, sono stufo
di sentire le vostre fandonie; e se perdo la pazienza
scordo che sono morto e sono botte!...

Ma chi ti credi d'essere..un Dio?
vuoi capire che nel cimitero siamo uguali?...
...morto sei tu e morto sono io
ognuno qui è uguale ad un altro".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Ma quale Natale, Pasqua ed Epifania!!!
lo vuoi capire
che sei ancora pieno di boria
sai cos'è la morte?..è una livella.

Un re, un magistrato, un grande uomo,
entrando questo cancello deve capire
che ha perso tutto la vita e pure il nome:
non hai ancora capito questo ?

Perciò, ascolta il mio consiglio, non fare il restio,
sopportami vicino, che t'importa?
Queste pagliacciate le fanno i vivi:
noi siamo gente seria...apparteniamo alla morte!"





Spiegazione

La poesia è ambientata in un cimitero, il narratore, dopo aver fatto visita alla tomba della zia defunta, uscendo si ferma a guardare la disparità tra due tombe, (l'una sfarzosamente ornata, l'altra miseramente abbellita solo da una croce) rimanendo così rinchiuso nella necropoli.
Questi, meravigliato, assiste al dialogo tra due "ombre": un marchese (che occupa la tomba sfarzosa) ed un netturbino (che, invece, è seppelito miseramente).Il marchese si lamente della "vicinanza puzzolente" del netturbino, quindi minaccia questi di usare violenza se non avesse sposato le sue ceneri;vedendo che il marchese continua con le sue minacce e le sue ingiurie, il netturbino perde la pazienza e gli fa notare che, indipendentemente da ciò che si è stato in vita, col sopraggiungere della morte si diventa tutti uguali, invita quindi alla serietà il marchese, ammonendo lui con un frase diretta e concisa "Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"
La poesia, scritta in dialetto napoletano è comprensibile anche da chi non ha confidenza con questa lingua.La traduzione diminuisce l'impatto della lirica che può essere apprezzata al meglio solo se letta nella versione originale.


Metrica

La poesia è divisa in 25 strofe, i versi sono endecasillabi (11 sillabe) in rime alternate, la lirica usa diverse figure retoriche ma la più suggestiva resta la similitudine tra la morte e la livella (lo strumento utilizzato nell'edilizia per stabilirel'orizzontalità di un piano o una retta) .


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From: Serenella Sent: 01/02/2011 20:15




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