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Respuesta  Mensaje 1 de 2 en el tema 
De: Gemmaverde  (Mensaje original) Enviado: 18/05/2013 05:34

Mattarellum, Porcellum e altri latinismi elettorali

Leggendo i giornali italiani si trovano parole curiose, che sembrano latine, come “Mattarellum”, “Porcellum” ecc. Che cosa significano?

Nel 1993, in seguito a un referendum popolare che chiedeva il passaggio da un sistema elettorale proporzionale a uno maggioritario, il Parlamento approvò una legge, il cui relatore era Sergio Mattarella, all’epoca parlamentare della Democrazia Cristiana: la legge in realtà era maggioritaria solo per il 75% dei seggi e proporzionale per il 25%. Pare che il nome “Mattarellum” alla legge elettorale sia stato inventato dal politologo Prof. Giovanni Sartori, un po’ in senso ironico (perché non la condivideva), rifacendosi alla tradizione del diritto di usare i nomi latini. Un nome maestoso e altisonante per qualcosa di non molto ben riuscito.

Il successo giornalistico del nome “Mattarellum” generò la nascita di altre parole simili. Nel 1995 il Parlamento approvò una nuova legge elettorale maggioritaria anche per le Regioni: poiché a presentarla era stato il parlamentare di Alleanza Nazionale Pinuccio Tatarella, i giornali la chiamarono “Tatarellum”.

La storia più curiosa è certamente quella del “Porcellum”. Nel 2005 il governo di centrodestra promosse e fece approvare dal Parlamento una legge elettorale molto complessa, con premio di maggioranza nazionale alla Camera e premio di maggioranza regionale al Senato per la coalizione vincente. La legge creò una gran confusione nel 2006, perché il centrosinistra vinse per pochi voti, ma al Senato ottenne una maggioranza così ridotta che fece fatica a governare (e infatti si tornò a votare due anni dopo). Lo stesso autore della legge, Roberto Calderoli (Lega Nord), definì la propria legge “una porcata”, che aveva l’obiettivo di mettere in difficoltà i grandi partiti. Inevitabile la definizione di “Porcellum” data dal solito Giovanni Sartori.

Nel 2007 il Partito Democratico propose una nuova legge elettorale (poi mai approvata) definita “Vassallum”, dal nome del suo creatore, il politologo Salvatore Vassallo.

Sulle leggi elettorali l’Italia vive sempre dibattiti spesso feroci. Nel 1953 si votò alle elezioni con una legge che attribuiva il 65% dei seggi alla coalizione che avesse superato il 50% dei voti: anche se la norma non scattò perché la coalizione vincente non ottenne la maggioranza dei voti, la legge elettorale passò alla storia come “legge truffa“, così definita dai suoi oppositori (forse il termine fu inventato da Piero Calamandrei).



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De: Elisetta Enviado: 18/05/2013 12:45

Range voting e latinismi elettorali

Le elezioni sono vicine ed il mondo della politica torna a parlare di legge elettorale e del discusso Porcellum:
gli italiani però non sono sicuramente nuovi a certi termini, tanto che nel passato avevano già dovuto fare i conti con altri latinismi elettoriali…
Per primo ci aveva pensato Sergio Mattarella, parlamentare della DC e relatore di una discussa legge elettorale maggioritaria che il politologo Giovanni Sartori denominò “Matterellum”.
Sempre Sartori ha il copyright sul termine “Tatarellum”, ovvero la nuova legge elettorale maggioritaria anche per le Regioni presentata nel 1995 dal parlamentare AN Pinuccio Tatarella.
Poi, nel 2005, Roberto Calderoli affiorò dalle rive del Po per consegnarci il “Porcellum”, invenzione del solito Sartori dopo che lo stesso Calderoli aveva definito la sua legge “una porcata per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti con il popolo che vota”.

Nella breve storia della nostra Repubblica quello che emerge è che nonostante il fine democratico fosse comune a tutte le forze politiche mai nessun partito ha avuto a cuore l’istituzione di una legge elettorale degna di questo nome: chi vuole il modello tedesco, chi quello francese, chi quello klingoniano, fatto sta che si è sempre impedito ai cittadini di esprimere realmente il proprio pensiero: è infatti molto conveniente per un partito bloccare le liste e lasciare all’ elettore meno margine di scelta possibile.

All’ elettore moderno infatti è concesso solo di votare il partito per cui simpatizza (o per cui prova meno ripulsione), impedendo però di manifestare la sua eventuale disapprovazione per la classe che lo rappresenta e costringendolo a due sole scelte: votare il meno peggio, non votare il meno peggio.

In entrambi i casi, l’elettore non riesce a far passare correttamente il messaggio:
Se vota ugualmente il partito di cui non approva la leadership, l’elettore lascia intendere che gli piace il partito E la leadership.
Se invece non vota il partito perché non approva la leadership, passa il messaggio che non gli piace il partito NE’ la leadership.

Appare subito chiaro che l’ unico modo per essere contati come elettori “non entusiasti”, è quello di cambiare il sistema elettorale aumentando le informazioni che l’ elettore può trasmettere attraverso il voto. In fondo le elezioni servono ad analizzare le reali simpatie degli elettori, e l’ analisi è tanto migliore quanti più dati si hanno a disposizione.
In molti si sono orientati in questa direzione nel tentativo di creare la legge elettorale definitiva, che avrebbe corretto le storture degli attuali sistemi (voto tattico e dispersione dei voti) e che, con buona pace di Kenneth Arrow rispecchiasse tutti i tre requisiti fondamentali: democrazia, rappresentanza, e indipendenza dalle minoranze.
Un’ alternativa valida è il cosiddetto voto a punteggio o range voting. Esso consiste semplicemente nell’ assegnare a ogni candidato un punteggio, ad esempio da zero a dieci.
Allora, anziche’ un solo spazio dove porre la crocetta, se ne potrebbero mettere, diciamo, dieci.
Se un candidato è piaciuto molto li crociate tutti, se e’ cosi’ cosi’ ne crociate solo cinque su dieci, e così via.
A questo punto, potremmo votare anche per tutti i candidati, se vogliamo.
Durante lo spoglio dei voti, ciascun candidato ottiene un punteggio finale che è la somma dei punteggi ricevuti da ciascun elettore: se una scheda non riporta il punteggio per un candidato, viene assegnato convenzionalmente il punteggio minore.
Infine, il candidato con il punteggio totale più alto viene eletto.
Purtroppo anche questo metodo, nonostante si sottragga al teorema di impossibilità di Arrow, nasconde insidiose trappole tra cui il solito voto tattico, aggravato dal fatto che ogni scheda può avere un peso molto diverso (se 9 persone assegnano 1 punto ad A e 0 a tutti gli altri, e io do 10 punti a B e 0 a tutti gli altri, vince B anche se nessun altro lo voleva).
Il voto a punteggio ha però aggueriti sostenitori online, tra cui il matematico Warren D. Smith, curatore di un esaustivo sito di propaganda a favore del voto a punteggio in cui vengono spiegati i vantaggi matematici del metodo. Secondo Smith le simulazioni indicano che il voto a punteggio è comunque il più resistente, cioè quello dove il risultato finale si piega meno al voto tattico, nonché in media quello che dà un risultato più corrispondente alla volontà degli elettori.

Un’ altra teoria apparentemente assurda che però merita di essere menzionata è “il random ballot”, ovvero la lotteria dei voti: in un’ elezione o un referendum la scheda di un elettore viene estratta casualmente e quella scheda decide l’ esito dell’ elezione. Si tratta di un metodo assolutamente rappresentativo in quanto la probabilità di estrazione di un candidato è proporzionale al numero di voti ricevuti, ed è anche “strategy-free” in quanto non vi sarebbe nessun vantaggio dal voto tattico. Ovviamente però, non assicura che il candidato più votato sia quello effettivamente estratto.
Del resto, Einstein è stato smentito quando diceva che “Dio non gioca a dadi”perciò, ammesso che la democrazia sia il migliore metodo di governo, chissà se un giorno scopriremo che affidarci al caso sia il miglior metodo per farla funzionare.



 
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