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TESTI SUBLIMI: IL TEMPORALE - HERMANN HESSE - BRANO SUBLIME
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De: Tony Kospan  (Missatge original) Enviat: 19/06/2011 14:48

 

Divisorio

 

 

 

 

Questo brano del grande Hesse,
tratto da
"Pellegrinaggio d’autunno"
(1905)
ci aiuta un pò a comprenderne
lo stile del suo narrare
e qualcosa
del suo pensiero…
 
 

 

 

IL TEMPORALE

Hermann Hesse

 

 

Acquerello di Hermann Hesse

 


 

Quando, la mattina seguente, mi disposi a proseguire il viaggio, non certo di buon’ora, nel cielo burrascoso veleggiavano nastri di nubi sfrangiate, grigie e lilla, e mi accolse un forte vento.

Fui presto sul crinale della collina e vidi sotto di me la cittadina, il castello, la chiesa e il piccolo imbarcadero, addossati l’uno all’altro sulla riva, simili a giocattoli. Mi tornarono in mente alcune storie divertenti dei tempi in cui abitavo in quella zona, e scoppiai a ridere.

Ne avevo bisogno perché, quanto più mi avvicinavo alla meta del mio viaggio, tanto più mi sentivo oppresso e avvertivo una stretta intorno al cuore, anche se non volevo ammetterlo.

Mi fece bene camminare in quell’aria fresca e sibilante.

Ascoltavo il vento impetuoso e, mentre procedevo sul sentiero di cresta, vedevo con crescente piacere che il paesaggio si faceva più vasto e possente.

Il cielo si andava schiarendo, a partire da nordest: laggiù la vista era libera e si potevano vedere lunghe catene di montagne, disposte in modo meravigliosamente regolare.

Man mano che salivo, il vento aumentava.

Cantava una melodia autunnale, con gemiti e risa, accennando a passioni favolose accanto alle quali le nostre non erano altro che bambinate.

Mi gridava all’orecchio parole mai udite, di un mondo primigenio, come nomi di dei antichi.

Dipingeva su tutto il cielo, coi rimasugli delle nuvole erranti, strisce parallele che contenevano qualcosa di dominato a stento e sotto le quali i monti parevano incurvarsi.

Davanti al mugghiare dei venti e alla vista di quel vasto paesaggio montuoso, la lieve oppressione che incombeva sulla mia anima scomparve.

Da quando, agli occhi miei, strada e clima si erano riempiti di vita, il fatto che mi stessi avvicinando a un incontro con la mia gioventù e a una cerchia di stimoli ancora ignoti non era più così importante ed esclusivo.

Poco dopo mezzogiorno mi fermai a riposare nel punto più alto di quel sentiero d’altura, mentre il mio sguardo volava sull’immenso paesaggio che si estendeva intorno a me, perlustrandolo commosso.

C’erano montagne verdi e, più lontano, montagne azzurre coperte di boschi e gialle montagne rocciose, colline dalle mille pieghe e, dietro ancora, il monte più alto, con pinnacoli scoscesi e pallide piramidi di neve.

Ai miei piedi, in tutta la sua estensione, il grande lago, azzurro come il mare e punteggiato dalla schiuma bianca delle onde, con due vele solitarie e fugaci, che scivolavano curve; sulle sponde verdi e marroni gialli vigneti fiammeggianti, boschi variopinti, bianche strade maestre, villaggi di contadini tra alberi da frutto, villaggi di pescatori, più spogli, città turrite, chiare e scure.

Sopra tutto, a spazzar via quelle nuvole grigiastre, tra brandelli di un cielo limpidissimo, pervaso da una luce verde azzurro e opalescente, raggi di sole disposti a mò di ventaglio sulle nubi.

Tutto mosso, anche le catene montuose parevano correre avanti, e così le cime alpine, irregolarmente illuminate, scoscese e discontinue.

Con la burrasca e le nuvole, anche i miei sentimenti e desideri si dispersero febbrili e violenti per quel vasto paesaggio, abbracciando lontani pinnacoli innevati e posando fugaci su verdi insenature lacustri.

La mia anima fu assalita dalle note, seducenti sensazioni di ogni vagabondaggio, fuggenti e variopinte come l’ombra di una nube: rimpianto per quanto si è perduto, brevità della vita e pienezza del mondo, mancanza di una patria e ricerca della patria, alternate a una fluente sensazione di totale distacco da spazio e tempo.

Lentamente trascorsero i flutti, cessarono di cantare e spumeggiare, e il mio cuore si placò e riposò immobile, come un uccello ad alta quota.

 

 

 

 

Poi vidi, sorridendo e con rinnovato calore, le curve delle strade, le cime tondeggianti coperte di boschi e i campanili di dintorni a me familiari: era la terra dei begli anni della mia giovinezza a guardarmi, immutata, con gli stessi occhi di allora.

Come un soldato cerca di ripercorrere sulla carta la sua campagna militare, riscaldato dalla commozione quanto da una sensazione di familiarità, così io leggevo in quel paesaggio dai colori autunnali la storia di molte meravigliose follie nonché la storia, ormai quasi trasfigurata in leggenda, di un amore che fu.

 

 

 

 

CIAO DA TONY KOSPAN

 

 

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IL SALOTTO… DI FACEBOOK…?
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