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POESIA MONDO: 5 MAGGIO
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Respuesta  Mensaje 1 de 1 en el tema 
De: Orso Tony  (Mensaje original) Enviado: 05/05/2022 00:44
Non possiamo,  noi che amiamo la poesia,
nel giorno in cui morì Napoleone,
non ricordare la più grande e la più bella poesia,
benché dubbiosa, scritta dal Manzoni per lui
e che ha per titolo proprio questa giornata.
(Ajaccio 15.8.1769 – Longwood – Sant'Elena 5.5.1821)
Questa poesia, oltre ad esser nota a tutti
perché ce la fanno studiare a scuola,
ha anche una notevole valenza storica
oltre ad esser densa di significati spirituali.
Alessandro Manzoni (Milano 7.3.1785 – Milano 22.5.1873)
Il Manzoni la scrisse quasi di getto (4 o 5 gg)
dopo aver saputo che Napoleone era morto
ma soprattutto perché commosso dal fatto
che si era convertito poco prima di morire.
Il poeta, quando il Bonaparte dominava l'Europa
non era stato tra i suoi ammiratori, anzi,
per cui appare chiaro che questa poesia
in cui ne riconosce comunque la grandezza
(all'epoca - e forse ancor oggi - Napoleone era amatissimo o odiatissimo)
non poteva certo portar alcun vantaggio allo scrittore milanese.
Questo il foglio su cui fu scritta
In realtà egli si astiene da un preciso giudizio storico
limitandosi a dire, con i mitici versi 31-32,
“Fu vera Gloria?
Ai posteri l'ardua sentenza”
frase poi entrata a far parte anche del nostro comune dire.
La poesia fu censurata dalle Autorità Austriache
che governavano all'epoca la Lombardia ma, 
grazie a Goethe, che la fece pubblicare su una rivista tedesca,
ebbe un'eco immediata in tutta Europa. 
Ma ora leggiamola… rileggiamola.
IL CINQUE MAGGIO
Alessandro Manzoni 
 
 Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Tony Kospan
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