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Respuesta  Mensaje 1 de 1 en el tema 
De: Orso Tony  (Mensaje original) Enviado: 27/07/2022 01:08
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Giosuè Carducci grande poeta italiano, e vero mito letterario tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, è stato il primo italiano a vincere il premio Nobel per la Letteratura.
(Valdicastello di Pietrasanta 27.71835 – Bologna, 16.2.1907)
Come ricordare un così grande poeta?
Lo farò semplicemente con una mini biografia e soprattutto con alcune sue mitiche poesie.
BREVISSIMA BIOGRAFIA
Visse la sua fanciullezza in Maremma le cui atmosfere rivivranno poi in tante sue poesie.
Laureatosi alla Scuola normale superiore di Pisa nel 1856 iniziò ad insegnare in un Ginnasio di Pistoia.
Dopo qualche anno, nel 1860, ottenne la Cattedra di Letteratura Italiana nell'Università di Bologna.
Nel 1906 fu insignito del Premio Nobel
LA POETICA
L’amore per la patria (siamo in epoca risorgimentale) e la passione politica, con l'amore per la vita la famiglia e la natura sono le linee guida della sua notevole produzione poetica.
Egli a differenza di molti altri poeti del suo tempo, che esaltano il Romanticismo, sceglie il Classicismo.
Ciò vuol dire per lui esaltare le tradizioni storiche, culturali e poetiche italiane e far rivivere idee di orgoglio patrio per un futuro glorioso.
Questo appare chiaro nei suoi versi che, pur non paludati e pesanti, tuttavia esplorano in modo raffinato tutte le potenzialità della lingua italiana del passato e del mondo classico.
Tuttavia non mancano nelle sue opere contaminazioni "romantiche" e "simboliste".
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LE POESIE
Quelle da me scelte sono: le prime 3 classicissime e studiatissime a scuola e la 4° è una bella poesia d'amore.

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Pianto antico
L'albero a cui tendevi  la pargoletta mano,  il verde melograno  da' bei vermigli fior,
 
nel muto orto solingo  rinverdì tutto or ora  e giugno lo ristora  di luce e di calor.
 Tu fior della mia pianta  percossa e inaridita,  tu dell'inutil vita  estremo unico fior,
 sei ne la terra fredda,  sei ne la terra negra;  né il sol più ti rallegra  né ti risveglia amor.
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San Martino
La nebbia a gl'irti colli  piovigginando sale,  e sotto il maestrale   urla e biancheggia il mar; 
ma per le vie del borgo   dal ribollir de' tini  va l'aspro odor de i vini  l'anime a rallegrar. 
Gira su' ceppi accesi  lo spiedo scoppiettando:  sta il cacciator fischiando  sull'uscio a rimirar 
tra le rossastre nubi  stormi d'uccelli neri,  com'esuli pensieri,  nel vespero migrar.
Davanti a San Guido
 I cipressi che a Bólgheri alti e schietti  Van da San Guido in duplice filar,  Quasi in corsa giganti giovinetti  Mi balzarono incontro e mi guardar.  Mi riconobbero, e— Ben torni omai — Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino — Perché non scendi ? Perché non ristai ?  Fresca è la sera e a te noto il cammino.  Oh sièditi a le nostre ombre odorate  Ove soffia dal mare il maestrale:  Ira non ti serbiam de le sassate  Tue d'una volta: oh non facean già male!  Nidi portiamo ancor di rusignoli:  Deh perché fuggi rapido cosí ?  Le passere la sera intreccian voli  A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! —  — Bei cipressetti, cipressetti miei,  Fedeli amici d'un tempo migliore,  Oh di che cuor con voi mi resterei— Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !  Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:  Or non è piú quel tempo e quell'età.  Se voi sapeste!... via, non fo per dire,  Ma oggi sono una celebrità.  E so legger di greco e di latino,  E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:  Non son piú, cipressetti, un birichino,  E sassi in specie non ne tiro piú.  E massime a le piante. — Un mormorio  Pe' dubitanti vertici ondeggiò  E il dí cadente con un ghigno pio  Tra i verdi cupi roseo brillò.  Intesi allora che i cipressi e il sole  Una gentil pietade avean di me,  E presto il mormorio si fe' parole: — Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'.  Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse  Che rapisce de gli uomini i sospir,  Come dentro al tuo petto eterne risse  Ardon che tu né sai né puoi lenir.  A le querce ed a noi qui puoi contare  L'umana tua tristezza e il vostro duol.  Vedi come pacato e azzurro è il mare,  Come ridente a lui discende il sol!  E come questo occaso è pien di voli,  Com'è allegro de' passeri il garrire!  A notte canteranno i rusignoli:  Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;  I rei fantasmi che da' fondi neri  De i cuor vostri battuti dal pensier  Guizzan come da i vostri cimiteri  Putride fiamme innanzi al passegger.  Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,  Che de le grandi querce a l'ombra stan  Ammusando i cavalli e intorno intorno  Tutto è silenzio ne l'ardente pian,  Ti canteremo noi cipressi i cori  Che vanno eterni fra la terra e il cielo:  Da quegli olmi le ninfe usciran fuori  Te ventilando co 'l lor bianco velo;  E Pan l'eterno che su l'erme alture  A quell'ora e ne i pian solingo va  Il dissidio, o mortal, de le tue cure  Ne la diva armonia sommergerà. — Ed io—Lontano, oltre Apennin, m'aspetta  La Tittí — rispondea; — lasciatem'ire.  è la Tittí come una passeretta,  Ma non ha penne per il suo vestire.  E mangia altro che bacche di cipresso;  Né io sono per anche un manzoniano  Che tiri quattro paghe per il lesso.  Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —  — Che vuoi che diciam dunque al cimitero  Dove la nonna tua sepolta sta? — E fuggíano, e pareano un corteo nero  Che brontolando in fretta in fretta va.  Di cima al poggio allor, dal cimitero,  Giú de' cipressi per la verde via,  Alta, solenne, vestita di nero  Parvemi riveder nonna Lucia:  La signora Lucia, da la cui bocca,  Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,  La favella toscana, ch'è sí sciocca  Nel manzonismo de gli stenterelli,  Canora discendea, co 'l mesto accento  De la Versilia che nel cuor mi sta,  Come da un sirventese del trecento,  Piena di forza e di soavità.  O nonna, o nonna! deh com'era bella  Quand'ero bimbo! ditemela ancor,  Ditela a quest'uom savio la novella  Di lei che cerca il suo perduto amor! — Sette paia di scarpe ho consumate  Di tutto ferro per te ritrovare:  Sette verghe di ferro ho logorate  Per appoggiarmi nel fatale andare:  Sette fiasche di lacrime ho colmate,  Sette lunghi anni, di lacrime amare:  Tu dormi a le mie grida disperate,  E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. — Deh come bella, o nonna, e come vera  è la novella ancor! Proprio cosí.  E quello che cercai mattina e sera  Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,  Sotto questi cipressi, ove non spero,  Ove non penso di posarmi piú:  Forse, nonna, è nel vostro cimitero  Tra quegli altri cipressi ermo là su.  Ansimando fuggía la vaporiera  Mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore;  E di polledri una leggiadra schiera  Annitrendo correa lieta al rumore.  Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo  Rosso e turchino, non si scomodò:  Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo  E a brucar serio e lento seguitò.

Qui regna amore
Ove sei? de' sereni occhi ridenti A chi tempri il bel raggio, o donna mia? E l'intima del cor tuo melodia A chi armonizzi ne' soavi accenti?
Siedi tra l'erbe e i fiori e a' freschi venti Dài la dolce e pensosa alma in balía? O le membra concesso hai de la pia Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Oh, dovunque tu sei, voluttuosa Se l'aura o l'onda con mormorio lento Ti sfiora il viso o a' bianchi omeri posa,
è l'amor mio che in ogni sentimento Vive e ti cerca in ogni bella cosa E ti cinge d'eterno abbracciamento.

F I N E


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