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Domenica 29 Novembre
San Francesco Antonio Fasani
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Lucera, 6 agosto 1681 - Lucera, 29 novembre 1742
Ancor giovane fu accolto tra i Minori Conventuali. Si distinse subito per la sua vita integerrima e fu esempio di austerità e zelo sacerdotale. Eletto Ministro Provinciale promosse le regolare disciplina in tutta la Provincia. Propagò la devozione alla Vergine Immacolata, e per circa 40 anni si rese famoso nelle Puglie per la sua ardente parola e per la grande carità verso i poveri, gli orfani e i carcerati. Fu canonizzato da Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986.
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Altri Santi del giorno
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رسائل 148 من 1557 في الفقرة |
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Lunedì 19 Aprile 2010
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Alsazia, 1002 - Roma, 19 aprile 1054
(Papa dal 12/02/1049 al 19/04/1054)
Il suo nome da laico era Brunone di Dagsburg e nacque in Alsazia nel 1002. Brunone discendeva con i suoi genitori da grandi vassalli. A diciotto anni divenne canonico di Saint Etienne e a 22 anni diacono. Nel 1026 fu eletto vescovo di Toul. Salì al soglio pontificio nel 1049, prendendo il nome di Leone. Combatterà durante il suo pontificato fenomeni come la simonia e scomunicherà Michele Cerulario per lo scisma della Chiesa greca. Morì a Roma il 19 aprile del 1054. La città di Benevento nel 1762 l'ha eletto a suo patrono.
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Altri Santi del giorno
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رسائل 149 من 1557 في الفقرة |
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Martedì 20 Aprile 2010
S. AGNESE (Segni) di Montepulciano, Monaca domenicana
S. Agnese (Segni) di Montepulciano
Monaca domenicana
gnese Segni nacque il 28 gennaio 1268 a Gracciano, piccolo borgo, situato a tre miglia da Montepulciano, nell'amena campagna, la Val di Chiana, che fa corona alla città, celebre, oltre che per il suo vino nobile, per la sua storia, per le ricchezze artistiche e per gli uomini illustri che ne ebbero origine. Basti ricordare il Papa Marcello II, il Dottore della Chiesa San Roberto Bellarmino e il poeta Angelo Ambrogini detto appunto il Poliziano.
A Gracciano Agnese sentì presto il fascino delle cose spirituali. Durante una visita con i suoi familiari a Montepulciano ebbe modo di vedere più volte le suore del "sacco", chiamate così per il rustico sacco che indossavano; la loro vista suscitò in lei una spontanea simpatia verso le religiose. A nove anni chiese di essere ammessa tra queste: vi fu accolta. Ben presto le suore si accorsero di quale tesoro avessero tra loro.
Restò poco a Montepulciano, solo il tempo necessario per la formazione religiosa di base. Gli amministratori del castello di Proceno, un paesino oggi in provincia di Viterbo, allora nel territorio di Orvieto, si recarono a Montepulciano per chiedere alcune suore per la loro terra: l'ottennero, e Agnese fu tra le prescelte: era l'anno 1283.
L'aspettativa della popolazione procenese non fu delusa; ben presto la fama delle virtù di Agnese, la giovane superiora del monastero, varcò le mura del nuovo convento e tutti poterono notare la sua profonda umiltà, il grande amore per la preghiera, lo spirito di sacrificio (per quindici anni visse di pane ed acqua), l'ardente amore verso Gesù Eucarestia.
Il Signore l'arricchì anche del dono dei miracoli: spesso gli ossessi venivano liberati solo al suo avvicinarsi, più volte moltiplicò il pane in olio, malati gravi riacquistarono la salute. Non mancò però per Agnese la prova delle tribolazioni: gravi sofferenze fisiche la tormentarono per molto tempo.
La Santa restò a Proceno 22 anni. A Montepulciano si richiedeva la sua presenza e lei, dopo aver accertato che la volontà del Signore era che tornasse nella sua terra natia, lasciò Proceno per la sua Montepulciano: era la primavera dell'anno 1306.
In una visione, anni prima, Agnese aveva ricevuto dalla Madonna tre piccole pietre perché edificasse una chiesa ed un monastero; avuta in visione la certezza che si trattava di una costruzione da erigersi a Montepulciano, si accinse all'opera.
Le suore avevano bisogno di una regola e di aggregarsi ad un Ordine religioso che ne assumesse la cura spirituale; perciò, adottata la regola di Sant' Agostino come base della vita monastica, Agnese scelse l'Ordine Domenicano per l'assistenza religiosa e ciò a seguito di una visione in cui S. Domenico l'invitava ad entrare nel suo Ordine.
A Montepulciano fu angelo di pace tra varie famiglie nobili che si combattevano, e anche in questa occasione i poliziani, come già i procenesi, poterono ammirare la santità e il tatto di Agnese nel risolvere le controversie.
A pochi chilometri da Montepulciano si trovano le acque termali di Chianciano; dietro le insistenze del medico e delle consorelle, Agnese vi si recò nel 1316. La sua presenza giovò a molti malati sui quali operò vari miracoli. Quelle acque però, come lei stessa affermò, non scorrevano per lei. Infatti dopo poco tempo, ritornata a Montepulciano, fu costretta a mettersi a letto, e la sua malattia si aggravò a tal punto che, sentendo avvicinarsi la morte, alle figlie che piangevano disse : “Se mi amate veramente, dovete godere della mia morte, non piangerla, figlie mie, poiché io vado alla Vita e alla felicità eterna. Come il nostro Padre S. Domenico, anch’io, con Lui, vi sarò più utile in Paradiso che quaggiù; non temete, sarò sempre con voi.” Il Signore l'accolse nella sua gloria il 20 aprile del 1317.
Data la grande fama di santità, i frati e le suore domenicane volevano imbalsamare il corpo di Agnese e per questo motivo furono inviati dei signori a Genova per acquistare del balsamo, ma ciò non fu necessario: dalle mani e dai piedi della santa stillò infatti un liquido odoroso che impregnò i panni che coprivano il corpo della santa e ne furono raccolte alcune ampolle. Sparsasi ovunque la fama del nuovo prodigio, fu un via vai di malati che volevano essere toccati con l'olio miracoloso.
Cinquanta anni dopo la morte, afferma il Beato Raimondo da Capua, il corpo di S. Agnese era ancora intatto in tutte le sue membra, come se la Santa fosse morta da poco tempo.
Il medesimo testimone oculare lasciò scritto che la fama dei miracoli si divulgò per tutta la Toscana, per cui cominciarono dalle più remote regioni ad accorrere infermi alla chiesa che si chiamò subito di "Sant' Agnese". Molti restavano guariti. Fra questi ve n'erano alcuni che, forse animati da maggior fede, ottenevano la grazia non appena arrivati al ponte vicino alla chiesa; altri recuperavano la salute nell'entrare in chiesa; non pochi, finalmente, pur rimanendo in casa, fatto voto di visitare Sant' Agnese, venivano subito liberati da gravi malattie.
Pochi mesi appena dopo la morte, si cominciò a registrare i miracoli in un libro, dove spesso i pubblici notai erano chiamati a confermare le testimonianze dei miracolati. Da quel libro il Beato Raimondo trascrisse una lunga serie di miracoli e di grazie ottenute per intercessione di S. Agnese. L'agiografo scriveva: “a questa Vergine fu concesso da Dio un così immenso potere, che non vi fu specie di infermità, per contagiosa che fosse, che non si dileguasse alla sola di lei invocazione”. Anche oggi sono tante le famiglie di Montepulciano e fuori che ricordano l'intervento, qualche volta davvero miracoloso, di S. Agnese nei momenti più gravi e decisivi della loro vita.
Il 12 maggio 1726 Pp Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini) scrisse il nome di Agnese nell’elenco delle Sante Vergini; anche Caterina da Siena le fu devota e due delle sue nipoti furono monache nel suo convento.
Significato del nome Agnese: “pura, casta” (greco).
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Mercoledì 21 Aprile 2010
S. ANSELMO d'Aosta, Vescovo e Dottore della Chiesa (mem. fac.)
Sant'Anselmo d’Aosta
Vescovo e Dottore della Chiesa
nselmo nacque nel 1033 o nel 1034 ad Aosta, da Gandolfo, il cui nome rivela la sua origine longobarda, e dalla nobile Eremberga, originaria della Borgogna e parente del conte Oddone di Savoia.
Sembra che fosse l'esempio della religiosità materna a spingerlo a desiderare la vita conventuale, ma si scontrò con l'opposizione del padre: seguirono difficili rapporti in famiglia, aggravati dalla prematura morte della madre che convinsero Anselmo ad abbandonare Aosta per la Borgogna e la Francia, mentre il padre, curiosamente, entrava in quel convento che aveva negato al figlio.
Nel 1059 giunse nell’abbazia benedettina di Notre-Dame du Bec, in Normandia, per seguire le lezioni del noto Lanfranco di Pavia, priore e maestro della scuola del monastero.
Nel 1060 Anselmo si monacò in quella stessa abbazia, divenne collaboratore del suo maestro nell'insegnamento e, nel 1063, priore e maestro di arti liberali succedendo a Lanfranco; nel 1078 venne eletto abate all'unanimità.
Anselmo si trattenne nell'abbazia fino al 1092 e fu il periodo di sua più intensa attività, tanto pedagogica che di riflessione e composizione teologica e filosofica: vi compose le due opere più note, il Monologion e il Proslogion, oltre al De grammatico, il De veritate, il De libertate arbitrii e il De casu diaboli.
Come abate e priore, Anselmo ebbe incombenze che lo costrinsero a frequenti viaggi, anche lunghi, come quello che intorno al 1080 lo portò in Inghilterra, a Canterbury, dove nel 1093 venne nominato arcivescovo: in Inghilterra si scontrò più volte con i re Guglielmo II e Enrico I, e per questo motivo dovette intraprendere due volte la via dell'esilio.
L'opera più famosa del periodo inglese (terminata, però, in esilio in Italia, sull'eremo benedettino di Villa Sclavia [oggi Liberi (Caserta)] fu il “Cur Deus homo?” (Perché un Dio uomo?). Anselmo ha lasciato anche un'ampia raccolta di Preghiere e di Meditazioni, nonché un nutrito Epistolario; è ricordato non solo come teologo, ma anche come filosofo : viene talvolta definito “Doctor magnificus e Padre della Scolastica”.
Anselmo è altrettanto noto per aver ideato cinque “prove” dell’esistenza di Dio.
Le quattro “a-posteriori” deducono l’esistenza di Dio a partire da alcune qualità essenziali delle cose del mondo; esse sono :
· la bontà (se ci sono molte cose buone, ci dev’essere un bene supremo da cui esse derivano),
· la grandezza (se ogni cosa possiede una qualche grandezza, ci dev’essere una grandezza suprema da cui derivano tutte le altre),
· l’essere (se le cose hanno l’essere, ci dev’essere un essere supremo da cui deriva l’essere di ogni cosa),
· la perfezione.
In pratica esse corrispondono a quella a cui a volte fa riferimento la gente comune, secondo cui se c’è il mondo ci dev’essere qualcuno che l’ha fatto.
La quinta prova è invece “a-priori”, cioè cerca di arrivare a Dio prima di aver considerato il mondo. Essa si fonda sul fatto che l’uomo, compreso l’ateo, è in grado di pensare “ciò di cui nulla può pensarsi più grande”. L’argomentazione in pratica è questa: se sei stato capace di pensare un’idea così grande, addirittura infinita, allora vuol dire che questa grandezza così smisurata deve esistere davvero, altrimenti non si spiegherebbe come tu sia potuto riuscire, con la tua sola mente, a giungere a un’idea tale, che è più grande della tua mente stessa.
La quinta prova doveva essere, nelle intenzioni di Anselmo, la più forte, chiara e irresistibile, ma il monaco Gaunilone, sempre dell’XI secolo, obiettò ad Anselmo che poter pensare una cosa non equivale ad aver dimostrato che esiste; Anselmo rispose a Gaunilone che la sua obiezione valeva per le idee più modeste, ma non per la grandezza infinita. Nel discorso di Gaunilone c’era in realtà già una risposta: egli faceva infatti notare che chi dice “Dio” non è detto che possegga nella mente un’idea realmente adeguata a ciò che sta dicendo.
Anselmo morì il 21 aprile 1109 a Canterbury e fu sepolto nella celebre cattedrale.
Papa Alessandro III (Rolando Bandinelli) nel 1163 concesse all'arcivescovo Tommaso Becket, di procedere all'“elevazione” del corpo del suo predecessore, atto che a quel tempo corrispondeva a tutti gli effetti ad un'odierna canonizzazione.
Sant'Anselmo d'Aosta fu infine annoverato tra i Dottori della Chiesa da Pp Clemente XI (Giovanni Francesco Albani) l'8 febbraio 1720.
Significato del nome Anselmo : “protetto da Dio, Dio gli è elmo” (tedesco).
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رسائل 151 من 1557 في الفقرة |
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Giovedì 22 Aprile 2010
B. FRANCESCO VENIMBENI, Sacerdote O.F.M.
Beato Francesco Venimbeni
detto anche Francesco da Fabriano
Sacerdote O.F.M.
rancesco nacque a Fabriano nel 1251, da Compagno Venimbeni, medico, e Margherita di Federico; un’agiata famiglia, dove era già penetrata la devozione per san Francesco.
La Madre emise per lui un voto, forse prima del parto, e quando il bambino fu in grado di accompagnarla si recò a scioglierlo in Assisi sulla tomba del Santo; in questa occasione conobbe “frate Angelo”, uno degli autori che figurano nella Leggenda dei Tre Compagni (è la più importante delle biografie non ufficiali di Francesco, cioè delle Vite del Santo non scritte su commissione e dietro controllo papale o della classe dirigente dell'Ordine francescano), il quale, avvicinandosi al fanciullo e osservandolo negli occhi disse: “Questo sarà dei nostri”.
Il Venimbeni, che racconta l’episodio nella sua cronaca , “Ego frater Franciscus”, di cui si sono ritrovati quasi tutti i frammenti, confessa candidamente che da allora la madre prese a ripetergli che “anche lui doveva essere dell’ordine del S. Francesco e non rimanere nel mondo”.
Difatti, Francesco, dopo aver compiuto gli studi di filosofia, all'età di 16 anni, entrò nell'Ordine Francescano. Mentre era novizio a Fabriano, ebbe il permesso di recarsi ad Assisi per lucrarvi l'indulgenza della Porziuncola. Qui incontrò frate Leone, uno dei primi compagni di San Francesco, e ne lesse gli "scritti".
Per ben due volte, nel 1316 e nel 1318-21, fu superiore del nuovo convento costruito dai confratelli a Fabriano. L'eredità paterna gli permise di costruire una biblioteca dove raccolse una copiosa quantità di manoscritti e, in seguito a ciò, divenne il primo fondatore delle biblioteche in seno all'Ordine Francescano.
Tutta la sua vita fu devoluta all'attenzione verso i poveri, gli emarginati e gli ammalati. Egli stesso si prendeva cura dei bisognosi a cui forniva il sostegno materiale e spirituale. Infaticabile era il suo zelo per le anime: trascorreva molte ore in confessionale o nell'annunzio della parola di Dio. Vestiva una rozza tunica, si flagellava con aspre discipline, dormiva poco per dedicare più tempo possibile alla preghiera. Argomento della sua contemplazione erano i misteri della Passione di Cristo, che lo commuovevano fino al pianto. Celebrava la santa Messa con fervore ed era devotissimo delle anime del Purgatorio.
Morì, come aveva previsto, il 22 aprile 1322, all'età di 61 anni; il suo culto fu riconosciuto da Pio VI (Giovanni Angelo Braschi) il 1 aprile 1775.
Significato del nome Francesco : “uomo libero” (antico tedesco).
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رسائل 152 من 1557 في الفقرة |
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Venerdì 23 Aprile 2010
SAN GIORGIO, Martire (memoria facoltativa)
San Giorgio, Martire
(memoria facoltativa)
Nella vastissima galleria dei santi e della santità cristiana (nelle sue componenti occidentale e orientale) ci imbattiamo in tanti personaggi, uomini e donne, che possiamo definire originali oppure “strani”, perché possono destare in noi, discepoli e discepole di Cristo del III Millennio, ammirazione per le loro grandi azioni, invidia per la loro vita santa, desiderio di imitazione nel nostro quotidianamente faticoso cammino spirituale.
Tutto questo sì, ma non solo. Può sorgere in noi anche qualche perplessità per certi loro aspetti di santità che consideriamo non “moderni” (e nemmeno post moderni) o comunque non esaltanti per la nostra sensibilità.
Ci può anche essere, davanti a certe narrazioni agiografiche oltre il limite del buon senso, un certo fastidio e talvolta una qualche forma di repulsione. Dobbiamo allora condannare tutto alla rottamazione? Penso di no. O viceversa, accettare tutto? Nemmeno. L’invito è quello di restare liberi e criticamente vigili, sempre. Perché la nostra fede cristiana non si basa su queste narrazioni che talvolta sono leggendarie o che contengono elementi spuri o fantasiosi, ma su Gesù Cristo, storicamente esistito, come viene descritto nei Vangeli, studiati, soppesati anche nelle virgole, criticati, vagliati, confrontati incessantemente e sempre, oggi come nei secoli passati.
Il fin qui detto è per inquadrare il santo odierno : S. Giorgio, martire. Popolarissimo e famosissimo per quanto riguarda il culto ma poverissimo di riscontri e fondamenti storici.
Sono milioni le persone che, nelle varie lingue, ne portano il nome (anche nella versione femminile Giorgia o Giorgina), sono tantissime le chiese a lui dedicate, innumerevoli le persone che lo invocano o che comunque lo annoverano come patrono: come, per esempio, i militari, i fabbricanti di armi, i cavalieri, gli schermidori, gli alabardieri, i Giovani Esploratori, gli Scout, i contadini.
Può essere invocato inoltre dagli ammalati di lebbra, di peste o di malattie veneree. Anche se non è molto studiato nella agiografia in compenso è presentissimo nelle varie forme dell’arte: pittura, scultura etc..
Sotto questo aspetto S. Giorgio (con l’episodio del drago, caratterizzante la sua figura e fama) è una vera “super star”, ha cioè pochi eguali, escludendo naturalmente il Cristo, Maria di Nazaret e i principali Apostoli.
Ma c’è anche da ricordare un ruolo politico e militare di S. Giorgio. Nella Legenda Aurea si narra anche che i crociati nel 1099, giunti davanti a Gerusalemme, “ebbero una visione di San Giorgio vestito di una bianca armatura, che impugnava una croce rossa e faceva loro cenno perché lo seguissero e conquistassero la città. Essi allora si fecero coraggio, presero la città e sconfissero i saraceni” musulmani.
Il nostro santo poi è stato preso come patrono non solo dai Crociati, ma anche dopo di loro, dagli eserciti schierati in difesa dell’ortodossia cattolica. Carlo V infatti, nel secolo XVI, lanciò il suo esercito contro i principi protestanti riuniti contro di lui al grido: “Saint George for England”.
In Italia è patrono di più di 100 comuni di cui ben ventuno portano il suo nome. è anche protettore di varie nazioni come l’Inghilterra, il Portogallo, la Svezia, l’Ungheria, la Grecia, la Catalogna, la Georgia (che porta anche il suo nome).
Il suo culto si diffuse anche in Russia e in Etiopia. In Inghilterra poi furono fondati anche i Cavalieri dell’Ordine della Giarrettiera: questo viene considerato il primo ordine nobiliare laico che si autodefinì “Ordine aristocratico di San Giorgio”.
Come se non bastasse tutto questo, S. Giorgio fu uno dei Quattordici Santi Ausiliatori o Protettori, che, dal XVI secolo, si ritennero avessero poteri di intercessione di speciale efficacia.
Da ultimo, un particolare non trascurabile ai nostri giorni: Giorgio è un santo così famoso e potente che gli è stato riservato anche un posto nell’agiografia islamica, dove addirittura gli viene conferito il titolo onorevole di “profeta”. Come si vede un santo non solo transnazionale ma anche transreligioso.
Pochi santi possono vantare un curriculum vitae così vario, articolato, lungo e impegnativo. Ma, ahimè, nonostante tutto questo, proprio per l’assenza di fondamenti storici sicuri (nella qualità) e sufficienti (nella quantità), la Sacra Congregazione dei Riti, nel 1960, declassò impietosamente la festa di S. Giorgio a semplice memoria liturgica, a carattere solo... locale, da ricordare cioè solo nelle chiese particolari. Una retrocessione, certo, ma non una cancellazione. Prova questa che gli elementi che si hanno sulla sua figura sono pochi ma sufficienti.
L’episodio dell’uccisione del drago viene considerato da Jean Darche nella sua grande Vita di S. Giorgio come provato storicamente, mentre in genere si parla di pura leggenda (ma con un grande valore simbolico). “Storia o leggenda, l’episodio del dragone caratterizza in ogni caso San Giorgio. Significhi la vittoria riportata sul drago con la liberazione della fanciulla, oppure la vittoria riportata sull’idolatria e la liberazione dell’anima, è sempre una vittoria sul nemico con l’annientamento del forte e la liberazione del debole. Indica il carattere di San Giorgio e l’impressione lasciata sulla terra che ha attraversato” (E. Hello).
Da un punto di vista storico sembra che si possa affermare soltanto che Giorgio fu un soldato o un ufficiale dell’esercito romano, proveniente dalla Cappadocia, e che fu convertito al cristianesimo dalla madre. Affrontò con fermezza il martirio (verso il 303, poco prima, quindi, dell’Editto di Costantino del 313 che dava libertà al Cristianesimo), sotto l’imperatore romano Diocleziano a Lidda, (l’attuale Lod, presso Tel Aviv, in Israele) per avere invocato giustizia per i Cristiani perseguitati e perché lui stesso si era coraggiosamente dichiarato seguace della stessa fede.
Nei racconti della morte di S. Giorgio (chiamate Passioni) si narrano innumerevoli e orripilanti supplizi cui fu sottoposto per ben sette anni, finché cioè i suoi torturatori, stanchi, decisero di... tagliargli la testa, e chiudere così la pratica del martirio.
Ad essi venne aggiunto l’episodio dell’uccisione del drago. Questo racconto comparve, sia in Oriente sia in Occidente, nel secolo XI, e venne incluso verso il 1260, nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (1230-1298), fatto questo che gli diede popolarità dovunque.
Significato del nome Giorgio : “agricoltore” (greco).
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رسائل 153 من 1557 في الفقرة |
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Sabato 24 Aprile 2010
S. FEDELE da Sigmaringen, Sacerdote e martire (mf)
San Fedele da Sigmaringen
Sacerdote O.F.M. e martire
(memoria facoltativa)
Fedele, al secolo Markus Roy, nasce a Sigmaringen (D) il 1° ottobre 1577. Studia presso il collegio gesuita di Friburgo in Brisgovia (D) dove nel 1601 si laurea in filosofia.
Negli anni 1601-1604 frequenta l'università di Friburgo; nel 1604 accompagna un gruppo di studenti in Italia.
Il 7 maggio 1611 ottiene brillantemente la laurea in diritto civile ed ecclesiastico.
Nel mese di settembre 1612 viene ordinato sacerdote.
Il 4 ottobre 1612 entra tra i cappuccini e inizia il noviziato nel convento di Friburgo.
Il 4 ottobre 1613 professione religiosa col nome Fedele.
Dal 1614 al 1618 studia teologia a Friburgo, a Fraunfeld e Costanza.
è guardiano del convento a Rheinfelden nel 1618-1619; superiore a Feldkirch nel 1619-1620; guardiano a Freiburg nel 1620-1621 e ancora a Feldkirch nel 1621-1622 dove assiste i soldati e i colpiti dalla peste.
Dalla Congregazione di Propaganda Fide (appena istituita) ebbe l'incarico di recarsi nella Rezia, in piena crisi protestante. Le conversioni furono numerose, ma l'intolleranza di molti finì per creare attorno al santo predicatore una vera ondata di ostilità, soprattutto da parte dei contadini calvinisti del cantone svizzero dei Grigioni, scesi in guerra contro l'imperatore d'Austria. Più che scontata quindi l'accusa mossa a fra Fedele d'essere un agente al servizio dell'imperatore cattolico. “ ”
Il santo frate continuava impavido la sua missione, recandosi di città in città a tenere corsi di predicazione. “ Se mi uccidono - disse ai confratelli, partendo per Seewis im Prättigau (cantone Grigioni) - accetterò con gioia la morte per amore di Nostro Signore. La riterrò una grande grazia ”.
Era poco meno d'una profezia. A Seewis, durante la predica, si udì qualche sparo. Fra Fedele portò ugualmente a termine la predica e poi si riavviò verso casa. All'improvviso gli si fecero attorno una ventina di soldati, capeggiati da un ministro, che in seguito si sarebbe convertito. Gli intimarono di rinnegare quanto aveva predicato poco prima. “ Non posso, è la fede dei vostri avi. Darei volentieri la mia vita perché voi tornaste a questa fede ”.
Colpito pesantemente al capo, ebbe appena il tempo di pronunciare parole di perdono, prima di essere abbattuto a colpi di spada. Era il 24 aprile 1622.
Fra Fedele da Sigmaringen fu beatificato da Pp Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini) il 24 marzo 1729 e proclamato santo da Pp Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini) il 29 giugno 1746.
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رسائل 154 من 1557 في الفقرة |
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Domenica 25 Aprile 2010
SAN MARCO Evangelista (festa)
San Marco Evangelista
(festa)
arco Evangelista è conosciuto soltanto da quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di S. Pietro e S. Paolo.
Non fu certamente un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se qualche studioso lo identifica con il ragazzo che, secondo il Vangelo di Marco, seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo…: «Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo.» (Mc 14, 51-52).
Quel ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli ulivi.
Nella grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale “mio figlio” come si legge nella sua prima lettera (5,13) : « Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio. »
Nel 44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in quella casa; Marco, il cui vero nome era Giovanni, usato per i suoi connazionali ebrei, mentre il nome Marco lo era per presentarsi nel mondo greco-romano, ascoltava i racconti di Paolo e Barnaba sulla diffusione del Vangelo ad Antiochia e quando questi vollero ritornarci, li accompagnò.
Fu con loro nel primo viaggio apostolico fino a Cipro, ma quando questi decisero di raggiungere Antiochia, attraverso una regione inospitale e paludosa sulle montagne del Tauro, Marco rinunciò spaventato dalle difficoltà: « Salpati da Pafo, Paolo e i suoi compagni giunsero a Perge di Panfilia. Giovanni si separò da loro e ritornò a Gerusalemme.» (Atti 13,13).
Cinque anni dopo, nel 49, Paolo e Barnaba ritornarono a Gerusalemme per difendere i Gentili convertiti, ai quali i giudei cristiani volevano imporre la legge mosaica, per poter ricevere il battesimo. Ancora ospitati dalla vedova Maria, rividero Marco che volle seguirli di nuovo ad Antiochia. Quando i due prepararono un nuovo viaggio apostolico, Paolo, non fidandosi, non lo volle con sé ; scelse un altro discepolo, Sila, e si recò in Asia Minore, mentre Barnaba si spostò a Cipro con Marco.
In seguito il giovane deve aver conquistato la fiducia degli apostoli, perché nel 60, nella sua prima lettera da Roma, Pietro, salutando i cristiani dell’Asia Minore, invia anche i saluti di Marco; egli divenne anche fedele collaboratore di Paolo e non esitò di seguirlo a Roma, dove nel 61 risulta che Paolo era prigioniero in attesa di giudizio. L’apostolo parlò di lui ai Colossesi: « Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da voi, fategli buona accoglienza - » (Col 4,10) e a Timoteo : « Affrettati a venire da me al più presto... Solo Luca è con me. Prendi Marco e conducilo con te, perché mi è utile per il ministero. » (2 Tm 4,9-11)
Forse Marco giunse in tempo per assistere al martirio di Paolo, ma certamente rimase nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma. Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco trascrisse, secondo la tradizione, la narrazione evangelica di Pietro.
Affermatasi solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò, in un primo momento, il suo discepolo e segretario ad evangelizzare l’Italia settentrionale. Ad Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città e, dopo averlo lasciato, s’imbarcò e fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove si addormentò e sognò un angelo che lo salutò: « Pax tibi Marce evangelista meus » e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Secondo un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria d’Egitto; qui Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo.
Nella zona di Alessandria, subì il martirio sotto l’imperatore Traiano (53-117); fu torturato, legato con funi e trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità; lacerato dalle pietre, il suo corpo era tutta una ferita sanguinante.
Dopo una notte in carcere, dove venne confortato da un angelo, Marco fu trascinato di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli “Atti di Marco” all’età di 57 anni. Ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così, ad alcuni cristiani, di recuperare il corpo e seppellirlo a Bucoli in una grotta; da lì nel V secolo fu traslato nella zona del Canopo.
La chiesa costruita al Canopo di Alessandria, che custodiva le sue reliquie, fu incendiata nel 644 dagli arabi e ricostruita in seguito dai patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680), e Giovanni di Samanhud (680-689).
In questo luogo, nell’828, approdarono i due mercanti veneziani, Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, che s’impadronirono delle reliquie dell’Evangelista, minacciate dagli arabi, trasferendole a Venezia, dove giunsero il 31 gennaio 828, superando il controllo degli arabi, una tempesta e l’arenarsi su una secca.
Le reliquie furono accolte con grande onore dal doge Giustiniano Partecipazio, figlio e successore del primo doge delle Isole di Rialto, Agnello; e riposte provvisoriamente in una piccola cappella, luogo oggi identificato dove si trova il tesoro di San Marco.
Iniziò la costruzione di una basilica, che fu portata a termine nell’832 dal fratello Giovanni suo successore, ma questa andò distrutta da un incendio nel 976, provocato dal popolo in rivolta contro il doge Candiano IV (959-976) che lì si era rifugiato insieme al figlio; in quell’occasione fu distrutto anche il vicino Palazzo Ducale.
Nel 976-978, il doge Pietro Orseolo I il Santo, ristrutturò a sue spese sia il Palazzo che la Basilica. L’attuale “Terza San Marco” fu iniziata invece nel 1063, per volontà del doge Domenico I Contarini, e completata nei mosaici e marmi dal suo successore, Domenico Selvo (1071-1084). La cerimonia della dedicazione e consacrazione della Basilica, avvenuta il 25 aprile 1094, fu preceduta da un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, delle quali non si conosceva più l’ubicazione.
Dopo la Messa, celebrata dal vescovo, si spezzò il marmo di rivestimento di un pilastro della navata destra, a lato dell’ambone e comparve la cassetta contenente le reliquie, mentre un profumo dolcissimo si spargeva per la Basilica. Venezia restò indissolubilmente legata al suo Santo patrono, il cui simbolo di evangelista, il leone alato che artiglia un libro con la già citata scritta: « Pax tibi Marce evangelista meus », divenne lo stemma della Serenissima.
Il Vangelo scritto da Marco va posto cronologicamente tra quello di S. Matteo (scritto verso il 40) e quello di S. Luca (scritto verso il 62); esso fu scritto tra il 50 e il 60, nel periodo in cui Marco si trovava a Roma accanto a Pietro.
Il racconto evangelico di Marco, il più breve dei quattro, è formato di soli sedici capitoli in lingua greca, ed è diviso in due parti. La prima è data dai primi otto capitoli, nei quali riporta le azioni di Gesù, insistendo sul racconto di numerosi miracoli al fine di dimostrare che Gesù è davvero il Figlio di Dio. Sembra che per questo motivo, fin dall'antichità cristiana, sia stato scelto il leone quale suo simbolo perché come il leone con il suo ruggito domina le voci degli altri animali, così Marco proclama forte che Gesù è Figlio di Dio.
Nella seconda parte di preferenza sono presentate le parole di Gesù, che spiegano le condizioni necessarie per seguire il Redentore sino alla morte in croce.
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رسائل 155 من 1557 في الفقرة |
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Lunedì 26 Aprile 2010
S. RAFFAELE ARNÁIZ BARÓN, O.C.S.O. (Trappista)
San Raffaele Arnáiz Barón
O.C.S.O. (Trappista)
“Molta gente m’interroga a proposito del silenzio della Trappa e io non so che rispondere perché il silenzio della Trappa… non è silenzio, è un concerto sublime che il mondo non avverte”.
è una delle citazioni di Raffaele Arnáiz Barón: il primo "Oblato" trappista, morto a soli 27 anni, che sia stato elevato all'onore degli altari.
Egli nacque il 9 aprile 1911 a Burgos (E), primogenito dei 4 figli che l'ingegnere forestale Raffaele Arnáiz y Sanchez de la Campa, uomo molto colto e gioviale, ebbe da Donna Maria de la Mercedes Barón Torres, sua consorte, coltissima in musica e devotissima. Tutte le mattine si recava in chiesa per prendere parte alla Messa e fare la comunione. In famiglia catechizzava personalmente i figli e li preparava alla prima comunione.
Brillante, intelligente, innamorato della vita, Raffaele studiava con profitto, dapprima in un collegio di Gesuiti a Burgos e poi nelle Asturie. Mentre si preparava a diventare un bravo architetto, nel suo cuore si fece strada un altro richiamo: spesso si immergeva in profonda preghiera perdendo il senso del tempo, portava il cilicio e talvolta preferiva dormire per terra. Il desiderio di consacrarsi totalmente al Signore si fece più concreto dopo alcune visite ad una Trappa di Cistercensi.
Fu lo zio materno ad accogliere la prima confidenza di Raffaele circa il suo desiderio di farsi monaco. I genitori, che avrebbero preferito vederlo concludere gli studi, infine si adeguarono e a soli 23 anni vestì l’abito bianco dei novizi cistercensi a San Isidro di Dueñas. Pieno di salute e di vitalità, come sempre, scrive a casa: “Ogni volta mi convinco sempre di più che Dio ha fatto la Trappa per me, e me per la Trappa”. Raffaele viveva tutto con gioia, perché nel monastero è possibile “unificarsi assolutamente e interamente alla volontà di Dio; vivere soltanto per amare e patire; essere ultimo in tutto eccetto che nell’obbedire”.
In meno di un mese, si verificò in lui il crollo improvviso della salute con l'insorgenza nel suo organismo del diabete mellito. L'abate, il P. Félix Alonso, in seguito al parere del medico, impose al novizio di ritornare in famiglia perché si sottoponesse al dovuto trattamento. In otto giorni aveva perduto 24 chili di peso. In un primo momento Raffaele si oppose con tutte le forze alla decisione presa. Difatti, singhiozzando, si avvinghiò al P. Teofilo (Francesco) Sandoval Fernàndez, suo confessore e direttore Spirituale, e gli disse: “Padre, voglio morire tra le sue braccia”.
In famiglia Raffaele superò la fase acuta del diabete abbastanza rapidamente tanto che il 31 luglio poté fare ritorno a Sant' Isidro in occasione della festa del P. Abate, ma la speranza della guarigione era sfumata per sempre.
Amareggiato nel vedersi escluso dalla vita monastica, il 9 ottobre 1935 scrisse all'abate chiedendo la carità di essere accolto di nuovo nella Trappa come "Oblato". Potrà così vivere nel monastero e portarne l'abito semplificato, senza l'obbligo di quelle osservanze che sarebbero risultate incompatibili con le sue condizioni di salute.
Dimorerà in infermeria con l'impegno, da parte di suo padre, di versare ai trappisti dall'11 gennaio 1936, giorno del suo ritorno, una determinata mensilità per la copertura delle spese richieste dalle cure. Col voler essere ostinatamente trappista, contro qualsiasi indicazione di prudenza umana, il Raffaele testimoniò la sua eroica fedeltà a una divina chiamata di cui era sicurissimo.
Nel suo diario spirituale scriveva: “Se il mondo immaginasse che martirio continuo è la mia vita! […] La mia vocazione è soffrire, soffrire in silenzio per il mondo intero, immolarmi in unione con Gesù per i peccati dei miei fratelli, per i sacerdoti, i missionari, per le necessità della Chiesa, per i peccati del mondo, per le necessità della mia famiglia”.
Raffaele Arnáiz Barón morì il 26 aprile 1938 dopo 19 mesi e 12 giorni di permanenza nella Trappa. Fu sepolto nel cimitero della comunità, ma dal 18 novembre 1965 egli attende la risurrezione nel sepolcro nuovo che i confratelli gli hanno eretto nella chiesa abbaziale di Sant' Isidro.
Durante la sua esistenza Raffaele ha scritto moltissimo per esigenze del suo spirito, non in prospettiva editoriale. Le sue opere vanno a ruba e gli hanno procurato la fama di “uno dei più grandi mistici del secolo XX”.
Già avanti nel suo itinerario di grazia si lascerà sfuggire il grido:
“Oramai non voglio che Dio, e la sua volontà sarà la mia... L'ansia di vedere Dio, l'impazienza dell'attesa, si perfezionano con la sottomissione assoluta alla sua volontà... Dio e la sua volontà: è l'unica realtà che occupa la mia vita”.
“Vedo la sua volontà persino nelle cose più umili e piccole che mi succedono. Da tutto ricavo un insegnamento che mi serve per comprendere di più la sua misericordia verso di me. Amo svisceratamente i suoi disegni e questo mi basta”.
Vivendo sempre alla presenza di Dio, egli doveva trovare facile, sotto l'azione dello Spirito Santo, farne la volontà, abbandonarsi con gioia, anche nei momenti di ripugnanza umana e stanchezza, con Gesù sulla croce, ai disegni del Padre per la sua gloria e la salvezza del mondo.
Il Servo di Dio Giovanni Paolo II ne riconobbe l'eroicità delle virtù il 7 settembre 1989 e lo beatificò il 27 settembre 1992;
l'11 ottobre 2009, Papa Benedetto XVI lo ha proclamato Santo.
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رسائل 156 من 1557 في الفقرة |
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Martedì 27 Aprile 2010
S. ZITA, Vergine
Santa Zita
Vergine
Lucca, dove Zita esercitò per quasi cinquant'anni l'umile mestiere di domestica, l'ha eletta sua patrona, e già al tempo di Dante, che la cita nella sua Commedia trent'anni dopo la morte, il suo nome era tutt'uno con la città toscana: parlando di un magistrato di Lucca, Dante, o meglio un diavolo nero, si limita a identificarlo come un "anzian di santa Zita".
ita, nata nel 1218 a Monsagrati, un paese nei pressi di Lucca, proveniva da povera gente di campagna, le cui fanciulle, per farsi la dote e più spesso per non essere di peso alla famiglia, venivano collocate a servizio presso una famiglia di città.
Prima delle attuali conquiste sociali la professione di domestica equivaleva pressappoco a una servitù. Zita, posta a soli dodici anni di età a servizio della famiglia lucchese dei Fatinelli, accettò serenamente la sua condizione sociale, ben consapevole che, servendo la famiglia ospitante, serviva Dio, per il cui amore agiva e tollerava ogni sgarbo, sia da parte dei padroni, che dapprima la trattarono con ingiustificata severità, come da parte dei suoi compagni di lavoro, gelosi per il suo zelo e il suo totale disinteresse.
Zita è conosciuta per i suoi numerosi miracoli, operati a favore dei poveri e dei deboli. Per recarsi alla chiesa di San Frediano, passava per la porta che affaccia su via San Frediano, più vicina al palazzo dei Fatinelli, quando un giorno si imbatté in un povero che batteva i denti per il freddo. Senza esitare, rientrata a palazzo prese il primo mantello che le capitò a portata di mano. Il padrone non si accorse di nulla, poiché l’Angelo Custode attese Zita a quella stessa porta, per restituirglielo. Da allora, quell’ingresso alla chiesa di San Frediano è conosciuto come “Porta dell’Angelo”, ed il miracolo è ricordato nella vetrata posta sopra la porta.
Largheggiava nelle elemosine ai poveri, che bussavano alla porta della ricca dimora dei Fatinelli, ma donava del suo, perché viveva con molta parsimonia e il gruzzolo che metteva da parte si riversava come tanti rigagnoli a irrorare le aride plaghe dell'abbandono e dell'ingiustizia.
Si racconta che una compagna di lavoro, invidiosa della stima che Zita aveva saputo accaparrarsi (superate le prime umilianti prove, le fu affidata la direzione della casa), l'aveva accusata presso il padrone di dare via troppa roba ai poveri.
Un giorno, infatti, Zita venne sorpresa mentre usciva di casa con il grembiule gonfio per recarsi a visitare una famiglia bisognosa. Alla domanda del padrone rispose che portava fiori e fronde; lasciati liberi i lembi del grembiule, una pioggia di fiori cadde ai suoi piedi (a Lucca, il 27 aprile di ogni anno, Piazza San Frediano e i suoi dintorni si trasformano in un giardino per onorare Santa Zita).
La sua vita fu tutta un simbolico florilegio di virtù cristiane a riprova che in ogni condizione sociale c'è lo spazio per l'attuazione dei consigli evangelici. Le sue virtù la imposero, mentr'era in vita, all'ammirazione di quanti l'avvicinavano e dopo la morte, avvenuta il 27 aprile 1278, impressero un moto inarrestabile alla devozione popolare.
La sua tomba nella Chiesa di S. Frediano, che custodisce tuttora il suo corpo, rimasto incorrotto fino all'ultima ricognizione effettuata nel 1652, è sempre stata meta di pellegrinaggi.
Il suo culto fu solennemente approvato il 5 settembre 1696, da Pp Innocenzo XII (Antonio Pignatelli).
Santa Zita fu proclamata patrona delle domestiche, delle casalinghe e dei fornai da Pp Pio XII (Eugenio Pacelli).
Il nome Zita è una variante toscana di "cíta" o "cítta", che significa ragazza o, per estensione, zitella ma, in questo caso, vergine.
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رسائل 157 من 1557 في الفقرة |
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Mercoledì 28 Aprile 2010
| San Pietro Chanel, sacerdote e martire | |
Cuet, Francia, 12 luglio 1803 - Isole Figi, 28 aprile 1841
Ordinato sacerdote, non poté assecondare la sua vocazione di missionario poiché il vescovo aveva bisogno di sacerdoti. Si inserì, così in un gruppo religioso il cui programma era simile a quello dei missionari: Pietro e gli altri furono inviati a Valparaiso ma lui si fermò presso un'isoletta dove era sorto un conflitto tra le due tribù che vi si trovavano. Uno dei capi accolse Pietro con sé affinché non venisse istigato dal capo avversario, ma purtroppo quando il figlio del capo si convertì, Pietro fu ucciso.
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رسائل 158 من 1557 في الفقرة |
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Giovedì 29 Aprile 2010
| Santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa | |
Siena, 25 marzo 1347 - Roma, 29 aprile 1380
Entrata nelle Mantellate, condusse una vita di penitenza e di carità verso i condannati e gli infermi. Portata al misticismo, ricevette le stigmate. Entrò in contatto con grandi personalità tra le quali Gregorio XI che convinse a riportare la sede pontificia da Avignone a Roma e dal quale ottenne diverse concessioni a favore del proprio Ordine. Le sue opere più importanti ci offrono una sintesi dell'esperienza domenicana, agostiniana, francescana e mistica con cui entrò in contatto, ravvivata dalla sua mente illuminata dall'intima unione con Dio. Insieme a San Francesco d'Assisi è Patrona d'Italia.
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رسائل 159 من 1557 في الفقرة |
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Venerdì 30 Aprile 2010
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Bosco Marengo, Alessandria, 1504 - Roma, 1 maggio 1572
Michele Ghislieri, religioso domenicano, creato vescovo e cardinale, svolse compiti di alta responsabilità nella Chiesa. Divenuto papa col nome di Pio V, operò per la riforma della Chiesa in ogni settore, sulle linee tracciate dal Concilio tridentino. Pubblicò i nuovi testi del Messale (1570), del Breviario (1568) e del catechismo romano.
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Altri Santi del giorno
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رسائل 160 من 1557 في الفقرة |
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Sabato 1° Maggio 2010
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Nel Vangelo Gesù è chiamato 'il figlio del carpentiere'. In modo eminente in questa memoria di san Giuseppe si riconosce la dignità del lavoro umano, come dovere e perfezionamento dell'uomo, esercizio benefico del suo dominio sul creato, servizio della comunità, prolungamento dell'opera del Creatore, contributo al piano della salvezza (cfr Conc. Vat. II, "Gaudium et spes", 34). Pio XII (1955) istituì questa memoria liturgica nel contesto della festa dei lavoratori, universalmente celebrata il 1° maggio.
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رسائل 161 من 1557 في الفقرة |
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Domenica 2 Maggio 2010
| Sant'Atanasio, vescovo e dottore della Chiesa | |
295-373
Vescovo di Alessandria d'Egitto, fu l'indomito assertore della fede nella divinità di Cristo, negata dagli Ariani e proclamata dal Concilio di Nicea (325). Per questo soffrì persecuzioni ed esili. Narrò la vita di Sant'Antonio abate e divulgò anche in Occidente l'ideale monastico.
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Altri Santi del giorno
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رسائل 162 من 1557 في الفقرة |
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Sant' Antonino Pierozzi (di
Firenze) Vescovo
2
maggio - Comune
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Firenze, 1389 - 2 maggio 1459
Fu domenicano a quindici anni e, divenuto sacerdote, fu
priore a Cortona, a Fiesole, a Roma, a Napoli, ricoprendo nel frattempo la
carica di Vicario generale dei Frati Riformati. Fondò la Societrà dei Buonomini
di San Martino per i poveri bisognosi. Divenne arcivescovo di Firenze
prodigandosi durante la peste. All’attività apostolica e agli incarichi di cui
era gravato, unì un intenso studio e la realizzazione di opere che ebbero
carattere giuridico-morale. Egli fu il primo a tentare una sintesi tra il
diritto e la teologia, raccogliendo quanto riteneva utile al ministero della
predicazione, della confessione e della direzione, per offrire una soluzione
cristiana ai molti problemi del suo tempo.
Etimologia: Antonino (come
Antonio) = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal gre
Emblema: Bastone pastorale,
Portamonete
Martirologio Romano: A
Firenze, sant’Antonino, vescovo, che, dopo essersi adoperato per la riforma
dell’Ordine dei Predicatori, si impegnò in una vigile cura pastorale, rifulgendo
per santità, rigore e bontà di dottrina.
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أول
سابق
148 a 162 de 1557
لاحق
آخر
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