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filosofia: IL SILENZIO DELLA FILOSOFIA SUL MALE
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Respuesta  Mensaje 1 de 3 en el tema 
De: liberidivolare  (Mensaje original) Enviado: 18/11/2009 16:26

 

 

IL SILENZIO DELLA FILOSOFIA

SUL MALE

Parte dell' intervento di Sergio Givone ad UmbriaLibri 
sul  Tema 
 "In fondo al male"
 
 
 

Un articolo interessante... un piccolo excursus sul
   concetto di male...  attraverso i secoli
che porto all'attenzione di chi... come me...  ama anche questi temi...
e che propongo alla vostra lettura...
 
 
 

NEWAGE

La filosofia tace sul male

 

 
Diceva David Foster Wallace, lo scrittore americano da poco scomparso: anche l' aragosta "sa" il male, quanto meno lo sente. Basta prestare orecchio al rumore sordo delle chele che sbattono contro i bordi della pentola in cui è stata gettata viva. E non si dica che il suo è un sentire elementare, rozzo.
Se l' aragosta non ha le parole per dire la sofferenza che prova e il tormento che le viene inflitto, forse noi le abbiamo? Si pensi alla filosofia.
Di fronte al male è stata reticente, ha balbettato.
Vero è che tutte le tradizioni da cui proveniamo traboccano di riferimenti al più inquietante dei molti misteri che ci circondano.
Non c' è male che sia stato risparmiato a Giobbe. «Appena temo un male, questo mi colpisce». Inutile chiedere perché, avverte Qohélet.
Tutto è inutile. Tutto è vano.
E questo forse è anche peggio del male. «Sarebbe opportuno che noi ci radunassimo a piangere la casa nella quale qualcuno sia venuto alla luce, pensando ai molti mali della vita umana, ma a chi con la morte ha posto fine a gravi sofferenze, gli amici con lode e con gioia dovrebbero dare sepoltura», aveva scritto Euripide, rievocando l' antica sentenza del Sileno (...) per cui la cosa migliore sarebbe non nascere, e in subordine morire al più presto.
Ma siamo sicuri che in quei testi si stia parlando del male e non di qualche cos' altro?
Qualcosa che ha bensì a che fare col male, ma che nulla dice circa la sua natura?
Certamente le sciagure che senza tregua colpiscono gli uomini, con il loro corteo di sofferenze afflizioni pene e tormenti vari, per non parlare della morte e del nulla, sono dei mali.
Ma non lo sono necessariamente.
Tant' è che hanno potuto presentarsi talvolta come forme di liberazione o di sollievo.
Il male sfugge alla presa. E si rifugia in una dimensione dov' è difficilissimo stanarlo.
E' la dimensione in cui il male appare strettamente legato alla colpa.
Anzi, non appare se non come colpa.
Ossia come qualcosa di cui l' individuo deve rispondere.
Non importa a chi: se a Dio, alla propria coscienza, agli altri uomini.
Né importa se ciò di cui deve rispondere è un che di fatale, addirittura un destino.
C' è autentico male dove c' è assunzione (o rifiuto) di responsabilità per una colpa.
Ma quale colpa?
A questo proposito i greci hanno parlato di amartia.
I cristiani invece di peccato.
Si coglie qui la differenza nel modo in cui gli antichi e i moderni hanno concepito il male.
Per gli antichi la colpa appartiene all' ordine delle cose.
E' una specie di marchio, è il retaggio della nostra finitezza, come sostenne Anassimandro. Siamo mortali; lo siamo poiché ci siamo separati dall' uno-tutto e siamo precipitati nel mondo della vita e del divenire.
Questa separazione è la nostra colpa. Da espiare con la morte.
Come se ci dicessero: sei venuto al mondo, hai goduto della luce del sole, e allora paga.
Anche per il cristianesimo la colpa è tutt' uno con la nascita.
L' uomo nasce portatore di un peccato d' origine.
Però questo peccato non appartiene all' ordine delle cose, come nel mondo classico, ma a quel principio spirituale che è l' anima.
Donde la questione come possa essere imputabile all' anima un peccato non commesso.
Il cristianesimo introduce allora l' idea della solidarietà nella colpa.
Ricevendo la vita, ciascuno è tenuto a farsi carico di tutto ciò che la vita comporta, non solo nel bene ma anche nel male.
Un po' come quando si riceve un' eredità. Se la si accetta, i debiti connessi devono essere onorati.
C' è dunque differenza, ma anche profonda affinità fra la nozione di colpa tragica e quella di peccato originale. (...)
Ma che cosa accade nel momento in cui, come oggi, la colpa perde credibilità filosofica?
Chiaro che se la colpa è sempre e soltanto della società, o non è che senso di colpa, di cui è bene disfarsi per igiene mentale, allora tanto vale rinunciare ad essa.
Salvo che, tolta la colpa, è tolto anche il male.
Non è certo un caso se la filosofia contemporanea, tranne pochissime eccezioni,
sul male ha taciuto. -
 SERGIO GIVONE

 

 

Repubblica — 07 novembre 2008    sezione: CULTURA

impaginazione t.k.

 

CIAO DA TONY KOSPAN




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Respuesta  Mensaje 2 de 3 en el tema 
De: mothersixten Enviado: 19/11/2009 04:08

Respuesta  Mensaje 3 de 3 en el tema 
De: mothersixten Enviado: 19/11/2009 04:11
E' la dimensione in cui il male appare strettamente legato alla colpa. Penso che sia proprio questo pensiero a sottovalutare il male,perche' scoprendolo si ammetterebbe una colpa. Il bene e il male sono stati sempre strettamente legati,ma sempre per la conquista del bene si e' dovuto ricorrere al male. Pensiamo alle crociate......alle conquiste per la liberta'......alle lotte politiche:anche schiacciare le idee dell'altro e un male. Per raggiungere una meta ,passo per passo, dobbiamo per forza e inevitavilmente pestare l'erba e fiori sul nostro cammino,ma quello che prevale e' l'arrivo e non guardiamo piu' indietro.... E' un filosofeggiare terra terra il mio, ma sento l'impotenza di dare un'affermazione valida a questo argomento.... Interessantissimo articolo....grazie Tony


 
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