Ushuaia, storia di una cittadina nella Terra del
Fuoco che (ri)nasce nel 1948 con l’arrivo di 600 italiani dal Veneto. Una città
italiana alla «fine del mondo» che con i suoi panorami mozzafiato è diventata
un'attrazione turistica.
Stefano Fonsato - il
manifesto – 3 febbraio
2015
Il pallone più
australe
Il Sud – sì, con la « s » maiuscola – come un vero
e proprio stile di vita. Orgoglio, fierezza, cicatrici: il punto cardinale
da cui sono partite un’infinità di storie e su cui si fonda tutto ciò che
riserva il presente. E lo si può ben dire quando si parla di Ushuaia, la città
più australe del pianeta, in quell’Argentina mai così troppo profonda da
ricollegarsi comunque all’Italia.
Una cittadina che oggi conta circa 57 mila
abitanti la cui storia è stata scritta, nel 1948 da una spedizione di oltre
613 italiani, per lo più bolognesi (ma c’erano anche veneti e friulani)
partiti sulla nave «Genova» dal capoluogo ligure e sbarcati da queste parti
il 28 ottobre di quell’anno dopo 32 giorni di traversata sotto la guida di
Carlo Borsari, imprenditore edile e mobiliere, che a quei tempi si
aggiudicò uno di quei tanti appalti pensati dal governo di Buenos Aires per
lo sviluppo industriale argentino.
Di appalti se ne aggiudicarono tanti,
tantissimi gli italiani. Borsari arrivò più a sud di tutti, in una landa
desolata e senza un vero perché, buona solo, fino a quel tempo, per costruirci
un grosso carcere (chiuso proprio nel 1947). Il fascino paesaggistico della
Terra del Fuoco, l’amore per le bellezze naturali… Tutti concetti
(ri)scoperti con la modernità.
Al governo argentino di Peron interessava
(ri)costruire quella città, popolarla, far fiorire economicamente quelle
lande e, grazie a quegli italiani di buona volontà, ci
riuscì.
La nave Genova in partenza per
l'Argentina
Una spedizione
leggendaria.
Nell’immediato dopoguerra dello Stivale, con le città
distrutte e un’economia da far ripartire da sottozero, la scelta di
andarsene — anche dall’altro capo del pianeta — rientrava nella normalità.
Quella a Ushuaia fu, a ben vedere, la spedizione più leggendaria,
avventurosa, ma che diede i suoi frutti.
D’altra parte le basi erano solide: Borsari, infatti, si
premurò di portarsi appresso – oltre a tutto il materiale da costruzione
appositamente smontato — anche un parroco e un’insegnante per i
bambini.
E se prima «el Fin del Mundo» metteva i brividi, ora è
un concetto che riempie d’orgoglio gli abitanti di queste parti, tanto da
diventare praticamente un brand turistico e commerciale. Qui tutto gira
attorno al fatto che la civiltà finisca in questa cittadina, poi, se si
vuole proseguire col Pianeta Terra, si deve essere profondi appassionati
di Antartide. C’è il Museo de la Fin del Mundo, le insegne degli esercizi
commerciali ripetono la Fin del Mundo come un mantra. E c’è la squadra di
calcio di Ushuaia, se mai ce ne fosse ancora il bisogno, a ribadirlo: Los
Cuervos del Fin del Mundo.
Il Los Cuervos è una società affiliata al San Lorenzo de
Almagro, campioni d’Argentina e squadra del cuore di Padre Bergoglio, che –
neanche a farlo apposta – si autodichiarò «Papa pescato alla fine del
mondo». Da bravi consociati, anche i Los Cuervos vesto il rossoblù, come il
San Lorenzo e, non a caso, come il Bologna. Nell’archivio fotografico della
famiglia Borsari, spicca una pagina di una rivista anni ’50, in cui si
inneggiava a una squadra di italiani che dominava nella «Tierra del Fuego» e
che si fregiava di indossare i colori del Bologna, della squadra che
tremare il mondo faceva, figuriamoci poi alla «fine»…
«Qui a Ushuaia molte cose ricordano l’Italia – spiega il
difensore ventinovenne dei Los Cuervos Marcelo «Chelo» Sanchez -, i
negozi di pasta fresca, le insegne in lingua, il fatto che impazziamo per i
sughi… Le tradizioni sono rimaste, la gente che ricorda le proprie origini
anche, come in tanti punti dell’Argentina. Forse da queste parti ancora di
più…».
L'arrivo dei migranti a
Ushaia
Campioni sistematici
I Los Cuervos sono il punto di riferimento del calcio
distrettuale di Ushuaia, di cui si laureano campioni in carica (così come
avvenuto di recente) con una certa sistematicità: inutile mettersi a
spiegare il sistema gerarchico del calcio argentino (il più complesso al
mondo), basti sapere che ci troviamo al sesto livello della piramide: «E
quindi non c’è spazio per gli stipendi, nemmeno per i piccoli compensi ai
giocatori – prosegue «Chelo», che si lascia andare alla proverbiale
filosofia sportiva argentina -. La mia vita gira attorno alla famiglia e al
mio impiego in tribunale qui in città. Il calcio resta puro divertimento:
sono in una squadra composta essenzialmente da ragazzi molto giovani.
L’umiltà però non deve mai mancare e a quelli che credono che la mia
esperienza sia un grande aiuto, faccio notare che il collettivo è tutto e
che siamo tutti, allo stesso modo, piccoli granelli di sabbia di una grande
spiaggia».
Di giorno in tribunale, di sera sul campo di
allenamento. La cornice è quella di un paesaggio incontaminato, unico
nel suo genere: «…Dove le montagne innevate strizzano l’occhio all’oceano –
descrive con orgoglio Marcelo –. Qui è tutto meraviglioso: ora è estate e ci
sono 17 ore di luce al giorno, l’aria è tra le più pulite al mondo. In più la
città è tranquilla, per strada non si corre alcun tipo di pericolo: i nostri
bambini possono giocare indisturbati per ora all’aria aperta. Certo, non è
tutto rose e fiori…».
Già, non solo perché, dopo le estati abbaglianti (in
cui, comunque, non si arriva mai a superare i 15–17 gradi di massima),
seguono inverni con poca luce naturale a disposizione e dai paesaggi
innevati (anche se mai tremendamente ghiacciati), un po’ come quelli che si
scorgono in alcuni frammenti del film Diari della motocicletta: «Qui i
problemi più grossi sono legati agli spostamenti – prosegue Chelo –
Dall’Isola Grande della Terra del Fuoco, dov’è situata Ushuaia, è difficile
andarsene. Le distanze col “mondo normale” sono davvero notevoli e uscire da
questa terra, per quanto bella e appagante, è
costosissimo».
«A Ushuaia comunque c’è quanto di più completo una
persona dai più vasti orizzonti possa desiderare – chiosa il difensore
argentino -, l’incrocio di culture e mentalità è certamente
interessante: la città venne fondata come luogo in cui i carcerati
avrebbero potuto trasferirsi per ricominciare una nuova vita. Poi
arrivarono gli stranieri, molti dei quali italiani, che a più riprese si
mescolarono con gli originari della Terra del Fuoco e, col tempo, si è
creato un meltin’ pot di ampio respiro».
Ushaia
Continua
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